New Review | VVLVVA – Path of Virtue






Vvlva – Path of Virtue

Una volta c’erano gli Orkus Chylde, ora non ci sono più. Abbiamo la loro continuazione sotto altro nome, Vvlva, ma il concetto di base rimane pressoché lo stesso: psychedelic ‘60s rock con venature hard à la Deep Purple. Non hanno paura di toccare i giganti della musica classica, iniziando con una citazione in Black Sands, ma è solo un benvenuto dato che poi il pezzo si sviluppa in maniera egregia in direzione Black Widow come non sentivamo da tempo, con fuzz guitar, cori gotici e tasti d’avorio a festeggiare (per l’occasione si ha l’ospitata di René Hofman alle backing vocals, che tornerà poi nella conclusiva, rilassata Second Voice).
Motel Floor è un baccanale orgiastico su tappeti erbosi Leaf Hound, mentre la successiva Cause and Effect sembra una perla Jefferson Airplane male version con Brain Auger ai tasti, strafatto di acido. Da prendere con le pinze questi riferimenti, dato che i nostri hanno tanto controllo della situazione da far volgere a proprio favore e in maniera del tutto personale il risultato musicale.
L’orgia chitarra/tastiera non smette in Dieb der Seelen che per qualche motivo ricorda la sboccatezza glam dei Kiss modellato nella blues battle dei Cream di Wheels of Fire e in Cryptic Faith vengono tirati per la giacchetta i padri fondatori, il monolite, i fab four oscuri: Black Sabbath. La vedova nera riappare in Adam’s Owe che si collega direttamente all’opener Black Sands; la titletrack è un richiamo agli Steppenwolf come la potrebbero suonare i Purson e poi c’è la meraviglia di Second Voice.
Riabbiamo René Hofman (sua è anche la registrazione e il mixer dell’album) alle backing vocals più Wolfgang Haselberger alla chitarra slide che proiettano il classicismo hard della band in direzione roots rock: Neil Young e Eagles a bersi un goccio insieme in riva al fiume (più classe hanno i Dead Man scandinavi sullo stesso tema, ma si può sintetizzare che facciano la stessa, meravigliosa cosa). Finito l’ascolto rimane in bocca un sapore dolce di qualcosa che siamo soliti masticare ma di cui non abbiamo fatto ancora indigestione: volete unirvi al banchetto degli straccioni? Io, ancora una volta, sì.

Eugenio Di Giacomantonio

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