La storia di Hard Rock & Heavy Metal
Com’è finito il metallaro americano a vestirsi con spandex e lustrini? Cosa differenzia Joe Satriani da Steve Vai e Yngwie Malmsteen? Chi è Allan Holdsworth? Cosa pensava Dave Mustaine nel viaggio di ritorno verso casa, dopo il licenziamento dei Metallica? Chi è Brian Slagel? Cosa vuol dire thrash? Esiste una New Wave of Italian Heavy Metal? Quante canzoni grindcore possono stare in 12 minuti?
Bene, se vi interessa approfondire questi interrogativi, il libro di Daniele Follero e Luca Masperone è pronto a fornirvi tutte le risposte in materia hard & heavy con un piglio a metà strada fra compendio per gli appassionati e saggio per i ricercatori.
Manuale, piccola enciclopedia o almanacco, La storia di Hard Rock & Heavy Metal mette in fila cronologica cinquanta anni ed oltre di musica pesante. Puntando l’ago del compasso sull’heavy metal, gli autori tracciano ellissi intorno al genere andando a costruire un albero genealogico che tiene conto di tutte le sfumature e contaminazioni che il genere ha subito negli anni, anche prima della sua stessa codificazione.
Sappiamo che i vasi sono comunicanti ed è difficile stabilire quando il blues sia diventato hard e poi heavy e quanto sincronicamente abbiano agito nella sua trasformazione movimenti culturali e di costume come la liberazione sessuale, i movimenti per i diritti civili e la controcultura giovanile, soprattutto perché questi eventi o fenomeni si sviluppavano da una parte all’altra dell’oceano simultaneamente, ma con sfumature e risultati diversi. O anche, e soprattutto, come le innovazioni tecniche sulla strumentazione abbiano influito sulla germinazione del termine.
Bravi comunque gli autori a fissare dei punti di riferimento, dai contorni sfumati, per restituire al lettore delle coordinate di riferimento. Citiamone alcune: You Really Got Me dei Kinks, primo pezzo nel 1964 ad utilizzare il power chord; l’amplificatore da 100 potentissimi watt del 1965 realizzato da Jim Marshall per soddisfare le richieste dei Who; la pubblicazione di Vincebus Eruptum dei Blue Cheer nel 1968 come album più rumoroso fino a quel momento e via dicendo, fino ad arrivare ai giorni nostri.
Immaginate, quindi, quanto materiale abbiano dovuto consultare Follero e Masperone per discernere gli aspetti significanti. Ovvie le mancanze che ognuno può contestare all’operazione (Hawkwind e Love su tutti, la serie Brown Acid – fondamentale per capire la genesi del suono hard americano – ma anche il meno ammissibile volo d’uccello sullo stoner dei Novanta) ma tant’è: si tratta di fare una sintesi, non un elenco telefonico. Anzi, con una serie così complessa di fenomeni ed avvenimenti a cui hanno dato lettura, sono stati bravi ad uscirne fuori sani e salvi e a restituire al lettore la gioia del loro lavoro.
Il grande racconto di Hard Rock e Heavy Metal
Resta comunque chiaro il focus dell’intera operazione targata Hoepli: si può parlare di Heavy Metal in senso stretto solo nella decade degli anni Ottanta e, anche se gli autori non lo dicono apertamente, risulta chiaro che dagli anni Novanta in poi, vuoi per il grunge che ha tagliato i ponti con la musica più prossima, vuoi per il crossover che ha mischiato elementi metal con generi apparentemente lontani, la musica metal non esiste più. O, meglio, ha cambiato profondamente il suo DNA per sopravvivere.
È chiaro che ne esce fuori la figura del metallaro come figura aperta a nuove trasmigrazioni del genere ma con in cuor suo il segno della fede impresso a fuoco. Tutto si traduce in un flusso continuo tra sotto e sopra il palco e, da questo punto di vista, sia gli autori che i fruitori del genere, ardono per la stessa passione e si riconoscono l’un l’altro come in uno specchio. Dobbiamo ammetterlo, caratteristica unica del genere, difficilmente riscontrabile in altri segmenti della musica popolare. Altro elemento d’attenzione è appunto l’appartenenza del genere al proletariato e al sottoproletariato di provincia. Esempi ce ne sono a bizzeffe e vi rimandiamo alla lettura del volume per verificare la dichiarazione. Unica eccezione: il black metal nordeuropeo apertamente misogino con vaghi spunti provocatori presi in prestito dal nazismo, in senso della difesa della razza ariana e della supremazia dell’uomo bianco.
Al contempo Iron Maiden, Black Sabbath e Judas Priest (per citare solo i primi tre totem che vengono in mente) nascono e si nutrono dentro la fame di riscatto sociale, tipica della classe operaia a cui appartengono. British Steel è sì il titolo di un album chiave dei Judas Priest che dà il diapason a tutta la scena ma è anche il nome delle acciaierie di sua maestà. Intitolare un album con quel nome nel momento in cui Margaret Thatcher mandava a casa la metà dei lavoratori dell’acciaio ha senza ombra di dubbio il clamore di una dichiarazione d’intenti: noi siamo con voi.
Molto interessante l’approfondimento sulla scena metal italiana di cui si riconoscono gli albori in band come The Trip, Biglietto per l’Inferno e Il Balletto di Bronzo e che rivive nelle rievocazioni dei protagonisti degli anni Ottanta. Spassosa la ricostruzione dei primi anni dei Death SS nelle parole di Steve Sylvester dove, in uno dei primissimi concerti auto-organizzati, il nostro manda a fuoco (involontariamente!) i folti ricciolini di Gigi Sammarco del duo comico Gigi e Andrea.
E si prosegue così, in un amarcord appassionato, dove incontriamo Pino Scotto e Lemmy a bere Jack Daniel’s e a tirare coca nei camerini del Monsters of Rock o Beppe Riva che ricostruisce la sua carriera di giornalista metal.
Altrettanto divertenti le incursioni nel gossip: il padre che litiga con suo figlio Brain May appena dopo avergli costruito la famosa Red Special a causa della decisone del figlio di intraprendere la carriera da musicista; la copertina sbagliata di Paranoid; il sacchetto di cocaina e i sorrisi nella copertina di Live at Fillmore East della Allman Brothers Band; le recensioni negative di Lester Bangs al primo disco dei Black Sabbath: “Sono come i Cream, solo peggio”; la richiesta da parte dei Van Halen di ottenere in camerino scodelle piene di M&M’s private di quelle marroni!
Insomma, una lettura per gli appassionati di musica Hard & Heavy ma anche per chi guarda al metal con vivida curiosità. Le prefazioni sono a cura di Michael Weikath degli Helloween, Aaron Stainthorpe dei My Dying Bride e Pino Scotto dei Vanadium.
Eugenio Di Giacomantonio