Il Babau e i maledetti cretini – La verità sul caso di Mr. Valdemar
Ha il sapore e l’odore delle storie di Edgar Allan Poe questo La verità sul caso di Mr. Valdemar, sia perché la storia che narra è proprio The Facts in the Case of M. Valdemar,
racconto del terrore che Poe scrisse nel 1845, sia perché è fortemente
incentrato sul parlato (viene, de facto, recitato il racconto).
La tesi e l’intento dell’autore sono questi: sondare i limiti sfocati tra la vita e la morte. Il personaggio, Valdemar, malato di tubercolosi, accetta di provare sulla propria persona gli effetti del mesmerismo, visto, in prossimità della morte, come unico ed ultimo aggancio per rimanere in vita. Ovviamente l’intento dei medici è ben diverso: provare, attraverso quel misto di magia e pratica fortemente sperimentale (che ha dettato lo stile di E.A. Poe nella descrizione dei personaggi), gli effetti delle loro tesi su di un corpo umano. L’esperimento diventa quindi il mezzo per lo scrittore per aprire lo squarcio verso l’insondabile, per mostrarcelo in tutto il suo orrore, senza consolazione.
Queste le basi, che vengono trattate da Il Babau e i maledetti cretini, già ammirati in versione Rinunci a Satana?, in maniera filologica, ma non solo. Damiano, Franz e Andrea si immergono nelle viscere della narrazione, divengono personaggi, curiosi ed attenti, presenti nella camera dove si pratica il mesmerismo e ce lo raccontano.
Ottima la scelta di influire minimamente sul flusso di coscienza che pare catturare Franz, il quale recita il racconto, ed ottimi i risultati di straniamento che raggiungono l’ascoltatore. Facendo uno sforzo di immaginazione, possiamo affiancarli musicalmente al Battiato progressive di Fetus, Pollution, Sulle orme di Aries e Clic, ma non solo.
Qualcosa di più strutturato appare a metà del disco, in Dormite sempre?, dove, in concomitanza del passaggio tra la vita e la morte del protagonista, i medici esplorano il terreno con domande frenetiche. Il resto è una riuscita composizione di effettistica analogica, ticchettii, rumori molesti, ambiente.
Piccoli interventi in punta di piedi per non disturbare la diegetica (enorme, dobbiamo ammetterlo) della letteratura presa in prestito, con il risultato di farci compartecipi dell’orrore che il protagonista sta vivendo in prima persona.
Non un disco per l’estate dunque, ma un preciso esperimento di libera uscita dalla forma canzone, per andare oltre.
Eugenio Di Giacomantonio
La tesi e l’intento dell’autore sono questi: sondare i limiti sfocati tra la vita e la morte. Il personaggio, Valdemar, malato di tubercolosi, accetta di provare sulla propria persona gli effetti del mesmerismo, visto, in prossimità della morte, come unico ed ultimo aggancio per rimanere in vita. Ovviamente l’intento dei medici è ben diverso: provare, attraverso quel misto di magia e pratica fortemente sperimentale (che ha dettato lo stile di E.A. Poe nella descrizione dei personaggi), gli effetti delle loro tesi su di un corpo umano. L’esperimento diventa quindi il mezzo per lo scrittore per aprire lo squarcio verso l’insondabile, per mostrarcelo in tutto il suo orrore, senza consolazione.
Queste le basi, che vengono trattate da Il Babau e i maledetti cretini, già ammirati in versione Rinunci a Satana?, in maniera filologica, ma non solo. Damiano, Franz e Andrea si immergono nelle viscere della narrazione, divengono personaggi, curiosi ed attenti, presenti nella camera dove si pratica il mesmerismo e ce lo raccontano.
Ottima la scelta di influire minimamente sul flusso di coscienza che pare catturare Franz, il quale recita il racconto, ed ottimi i risultati di straniamento che raggiungono l’ascoltatore. Facendo uno sforzo di immaginazione, possiamo affiancarli musicalmente al Battiato progressive di Fetus, Pollution, Sulle orme di Aries e Clic, ma non solo.
Qualcosa di più strutturato appare a metà del disco, in Dormite sempre?, dove, in concomitanza del passaggio tra la vita e la morte del protagonista, i medici esplorano il terreno con domande frenetiche. Il resto è una riuscita composizione di effettistica analogica, ticchettii, rumori molesti, ambiente.
Piccoli interventi in punta di piedi per non disturbare la diegetica (enorme, dobbiamo ammetterlo) della letteratura presa in prestito, con il risultato di farci compartecipi dell’orrore che il protagonista sta vivendo in prima persona.
Non un disco per l’estate dunque, ma un preciso esperimento di libera uscita dalla forma canzone, per andare oltre.
Eugenio Di Giacomantonio