Maya Mountains – Era
Era, quasi come il tempo che hanno impiegato i Maya Mountains per dar seguito a Hash and Pornography
del 2008. L’assalto è bruto e degno dei primi High On Fire con cui
condividono una visione sabbathiana oscurata, basta ascoltare l’uno/due
iniziale formato da Enrique Dominguez e In the Shadow.
La chitarra di Emanuel è una schiacciasassi che produce metallo liquido dalle fucine dell’inferno. Quando si lancia in assoli spaziali (San Saguaro) percorrono visioni e ideali vicini ai Toner Low. Siamo in zona ultra heavy per intenderci, ma lontana dal doom tout court per via della colorazione melodica che i tre riescono a dare.
Il cantato allucinato richiama alla mente i Beaver, sempre dalle parti dei Paesi Bassi: una lezione di heavy psych fondata sull’originalità. Matt Pike ricompare a pieno titolo in Vibromatic, che chiude la facciata A del vinile.
Si riparte con la strumentale Raul, che mette in moto gli organi propulsori/oscillatori degli Hawkwind, padri tutelari di qualunque band che voglia fare di un riff una canzone di sette minuti lanciata nello spazio.
Da qui in poi assistiamo alla parte più variegata dell’album, dove ritmiche alla Queens of the Stone Age si incastrano in stacchi alla Sons of Otis (Baumgartner), dolcezze punk rock guilt alla Brant Bjork e finali che sembrano registrati al Rancho de la Luna dall’Orchestra del Desierto.
Una curiosità: Era è stato registrato nel 2014 ma vede la luce solo oggi, segno che il tempo (il loro primo EP autoprodotto risale al 2007) non è altro che una distorsione data dalla necessità di strutturare la realtà ad ogni costo e che il tempo, appunto, non è una prerogativa a cui amano sottostare i Maya Mountains.
La chitarra di Emanuel è una schiacciasassi che produce metallo liquido dalle fucine dell’inferno. Quando si lancia in assoli spaziali (San Saguaro) percorrono visioni e ideali vicini ai Toner Low. Siamo in zona ultra heavy per intenderci, ma lontana dal doom tout court per via della colorazione melodica che i tre riescono a dare.
Il cantato allucinato richiama alla mente i Beaver, sempre dalle parti dei Paesi Bassi: una lezione di heavy psych fondata sull’originalità. Matt Pike ricompare a pieno titolo in Vibromatic, che chiude la facciata A del vinile.
Si riparte con la strumentale Raul, che mette in moto gli organi propulsori/oscillatori degli Hawkwind, padri tutelari di qualunque band che voglia fare di un riff una canzone di sette minuti lanciata nello spazio.
Da qui in poi assistiamo alla parte più variegata dell’album, dove ritmiche alla Queens of the Stone Age si incastrano in stacchi alla Sons of Otis (Baumgartner), dolcezze punk rock guilt alla Brant Bjork e finali che sembrano registrati al Rancho de la Luna dall’Orchestra del Desierto.
Una curiosità: Era è stato registrato nel 2014 ma vede la luce solo oggi, segno che il tempo (il loro primo EP autoprodotto risale al 2007) non è altro che una distorsione data dalla necessità di strutturare la realtà ad ogni costo e che il tempo, appunto, non è una prerogativa a cui amano sottostare i Maya Mountains.
Eugenio Di Giacomantonio