Banana Mayor – Primary Colour Part II: The Blue
Blu come il cielo, il mare e la notte. Blu come il blues, genere che riemerge iper-amplificato nel sound dei nostrani Banana Mayor. Blu come uno dei colori primari, che dà il titolo al terzo album della band, dopo Zombie’s Revenge del 2014 e Primary Colour Part I: The Red che fa il paio con quest’ultimo, Primary Colour Part II: The Blue.
Ne è passato di tempo da quando li avevamo visti al festival A Desert Odyssey. Out of My Shell apre il disco in maniera super rocciosa con un riff stoner al 100%: sembra di ascoltare gli Orange Goblin del primo disco, dove il verbo heavy rock veniva appena diluito in una psichedelia interstellare.
Bitter Smile apre al new metal ma sempre dentro i confini del guitar seventies sound, così come in The Scarescrow Walks at Midnight dove pare di sentire echi di musica alternative anni Novanta.
Insomma, già da questi primi tre pezzi sembra che al gruppo non piaccia stare fermi in un posto solo. Inevitabile ammettere che le diverse inclinazioni di stile derivano dal cantato di Stefano, che sembra avere nel DNA tracce di Chino Moreno, John Garcia e Sonny Sandoval.
Fall in Blue, a dispetto del titolo, dà sfoggio della tecnica chitarristica di Alberto che avvicina i mostri del metal progressivo, senza essere minimamente prog, così come Night Owl ristringe alleanze, questa volta molto più manifeste, con il new metal.
Blue Man prosegue sulla linea del brano precedente, in bassa battuta, con un lavoro melodico più raffinato, mentre la conclusiva Shades of Dawn spinge sull’acceleratore con un bel pugno in faccia dirty rock.
Alla fine dell’ascolto rimane in testa l’idea che la band non vuole piacere ad un pubblico specifico e fa di tutto per scappare dalle reti del genere. All’ascoltatore la scelta di sposare questa idea o abbandonarsi a percorsi largamente codificati.
Ne è passato di tempo da quando li avevamo visti al festival A Desert Odyssey. Out of My Shell apre il disco in maniera super rocciosa con un riff stoner al 100%: sembra di ascoltare gli Orange Goblin del primo disco, dove il verbo heavy rock veniva appena diluito in una psichedelia interstellare.
Bitter Smile apre al new metal ma sempre dentro i confini del guitar seventies sound, così come in The Scarescrow Walks at Midnight dove pare di sentire echi di musica alternative anni Novanta.
Insomma, già da questi primi tre pezzi sembra che al gruppo non piaccia stare fermi in un posto solo. Inevitabile ammettere che le diverse inclinazioni di stile derivano dal cantato di Stefano, che sembra avere nel DNA tracce di Chino Moreno, John Garcia e Sonny Sandoval.
Fall in Blue, a dispetto del titolo, dà sfoggio della tecnica chitarristica di Alberto che avvicina i mostri del metal progressivo, senza essere minimamente prog, così come Night Owl ristringe alleanze, questa volta molto più manifeste, con il new metal.
Blue Man prosegue sulla linea del brano precedente, in bassa battuta, con un lavoro melodico più raffinato, mentre la conclusiva Shades of Dawn spinge sull’acceleratore con un bel pugno in faccia dirty rock.
Alla fine dell’ascolto rimane in testa l’idea che la band non vuole piacere ad un pubblico specifico e fa di tutto per scappare dalle reti del genere. All’ascoltatore la scelta di sposare questa idea o abbandonarsi a percorsi largamente codificati.
Eugenio Di Giacomantonio