Sangue – Sangue
I Sangue sono un terzetto di Bari che suona
all’inferno. Il loro omonimo album d’esordio è appena uscito per Fuzzy
Cracklins e con cinque pezzi hanno divelto il sottobosco sabbathiano del
bel paese.
Si autodefinisco raw doom e la definizione non poteva essere più azzeccata: prendete la dose grezza dell’heavy psichedelia (The Heads per dare delle coordinate cartesiane – anche se agli immensi Stooges dobbiamo riconoscere la progenie di ogni album raw) e colatela nel crogiolo per metalli pesanti. Otterrete qualcosa che sta in bilico tra Electric Wizard, Sons of Otis, Warhorse, Saint Vitus, The Obsessed e compagnia bruta.
L’ingresso nelle Malebolge è con Mharles Canson (gioco di parole sul vecchio zio Charles) dove una voce recitata predice sventure e tormenti a cui saremo sottoposti. Monday’s Song sembra proseguire il riff in apertura, anche se ci sono belle sorprese come il cantato che punta su potenza e definizione in tinte dark, che fa aggiungere alla componente sabbathiana una profondità nera alla Killing Joke.
Proseguendo l’ascolto ci troviamo in Abissine, non quella bramata dai pelato di inizio secolo scorso, ma in compagnia dello stregone elettrico carico di hashish e oppio. Psych rock ed umori neri a braccetto, così si presenta Hellyou dove un lavoro egregio di chitarra solista squarcia il velo del rito funebre con sapori acidi.
Ma non tutto è zolfo: se ascoltiamo a mente aperta l’ultimo pezzo, In the Cave, potremmo autotrasportarci ai primi Ottanta, all’uscita dell’album Love, quando la voce dark ed evocativa di Antonio, libera dal sostrato distorto delle chitarre, riesce a far inclinare il genere stoner verso la new wave hard dei Cult. Non è cosa da poco, se portiamo alla memoria che uno dei riferimenti vocali di John Garcia era proprio Ian Astbury.
Eugenio Di Giacomantonio
Si autodefinisco raw doom e la definizione non poteva essere più azzeccata: prendete la dose grezza dell’heavy psichedelia (The Heads per dare delle coordinate cartesiane – anche se agli immensi Stooges dobbiamo riconoscere la progenie di ogni album raw) e colatela nel crogiolo per metalli pesanti. Otterrete qualcosa che sta in bilico tra Electric Wizard, Sons of Otis, Warhorse, Saint Vitus, The Obsessed e compagnia bruta.
L’ingresso nelle Malebolge è con Mharles Canson (gioco di parole sul vecchio zio Charles) dove una voce recitata predice sventure e tormenti a cui saremo sottoposti. Monday’s Song sembra proseguire il riff in apertura, anche se ci sono belle sorprese come il cantato che punta su potenza e definizione in tinte dark, che fa aggiungere alla componente sabbathiana una profondità nera alla Killing Joke.
Proseguendo l’ascolto ci troviamo in Abissine, non quella bramata dai pelato di inizio secolo scorso, ma in compagnia dello stregone elettrico carico di hashish e oppio. Psych rock ed umori neri a braccetto, così si presenta Hellyou dove un lavoro egregio di chitarra solista squarcia il velo del rito funebre con sapori acidi.
Ma non tutto è zolfo: se ascoltiamo a mente aperta l’ultimo pezzo, In the Cave, potremmo autotrasportarci ai primi Ottanta, all’uscita dell’album Love, quando la voce dark ed evocativa di Antonio, libera dal sostrato distorto delle chitarre, riesce a far inclinare il genere stoner verso la new wave hard dei Cult. Non è cosa da poco, se portiamo alla memoria che uno dei riferimenti vocali di John Garcia era proprio Ian Astbury.
Eugenio Di Giacomantonio