Nebula – Holy Shit
Da tempo aspettavamo un nuovo lavoro dei Nebula. Dal lontano 2008, anno in cui è stato pubblicato Heavy Psych,
didascalia appropriata per un suono, un mood, un gruppo che in quel
momento si (e ci) stava salutando. Coincidenza delle coincidenze, da lì a
poco sarebbe nata la Heavy Psych Sounds Records che, dopo il gustoso antipasto di demos e outtakes di qualche mese fa, ci propone Holy Shit, il nuovo lavoro del trio più figo che esista in ambito stoner rock.
I Nebula sono tornati e quel carico di Hawkwind + Motorhead + Cream è ancora più efficace che mai. Man’s Best Friend parte con un tiro astrocosmico che si frantuma in rallentamenti con acustica che mettono i brividi. Ecco, questa è la cifra stilistica dei Nebula: sdoganare il suono acustico per irrobustire il contesto hard, donando all’ascoltatore quella magia di essere trasportato verso mondi sconosciuti.
La coppia Messiah e It‘s All Over ci riporta con mano ai fasti di To the Center, album faro di come si possa intendere il rock attraverso una classe inaudita. Il suono di Eddie Glass è una garanzia, solo lui riesce a dosare il fuzz con i feedback del delay in una maniera così dolce. Ma se questo è tutto ciò che già conoscevamo dei Nebula, non mancano le sorprese.
Parliamo di Fistuful of Pills, che suona davvero strana e che ci fa pensare che ai nostri piaccia ancora divertirsi, o come la parte centrale di Tomorrow Never Comes, dal ritmo flamenco e piccante.
Gates of Eden riporta alla luce i sapori di Apollo, album del 2005 in cui i Nebula affondavano il colpo verso la parte della loro musica affogata nel garage rock, così come Let‘s Get Lost è grezza e stoogesiana alla maniera di Let It Burn. Il finale di The Cry of a Tortured World è una semi-ballad dal sapore acido e dissoluto che non sfigurerebbe nell’ultimo film di Quentin Tarantino.
I Nebula sono tornati: una gran quantità degli di album che abbiamo sentito negli ultimi dieci anni appare semplicemente sbiadita.
Eugenio Di Giacomantonio
I Nebula sono tornati e quel carico di Hawkwind + Motorhead + Cream è ancora più efficace che mai. Man’s Best Friend parte con un tiro astrocosmico che si frantuma in rallentamenti con acustica che mettono i brividi. Ecco, questa è la cifra stilistica dei Nebula: sdoganare il suono acustico per irrobustire il contesto hard, donando all’ascoltatore quella magia di essere trasportato verso mondi sconosciuti.
La coppia Messiah e It‘s All Over ci riporta con mano ai fasti di To the Center, album faro di come si possa intendere il rock attraverso una classe inaudita. Il suono di Eddie Glass è una garanzia, solo lui riesce a dosare il fuzz con i feedback del delay in una maniera così dolce. Ma se questo è tutto ciò che già conoscevamo dei Nebula, non mancano le sorprese.
Parliamo di Fistuful of Pills, che suona davvero strana e che ci fa pensare che ai nostri piaccia ancora divertirsi, o come la parte centrale di Tomorrow Never Comes, dal ritmo flamenco e piccante.
Gates of Eden riporta alla luce i sapori di Apollo, album del 2005 in cui i Nebula affondavano il colpo verso la parte della loro musica affogata nel garage rock, così come Let‘s Get Lost è grezza e stoogesiana alla maniera di Let It Burn. Il finale di The Cry of a Tortured World è una semi-ballad dal sapore acido e dissoluto che non sfigurerebbe nell’ultimo film di Quentin Tarantino.
I Nebula sono tornati: una gran quantità degli di album che abbiamo sentito negli ultimi dieci anni appare semplicemente sbiadita.
Eugenio Di Giacomantonio