New Review | BRANT BJORK – Jacoozzi




Brant Bjork – Jacoozzi


È un vero piacere riascoltare il buon vecchio Brant Bjork con un nuovo album prettamente strumentale (o quasi) come Jacoozzi. Dai tempi di Jalamanta del 1999 non risentivamo una tale genuina ispirazione dare sfogo a composizioni rilassate e jammose che sono la vera esistenza di Bjork.

Il suo modo di comporre per strati, iniziando da un’intuizione semplice, aggiungendo tocco dopo tocco un arrangiamento aperto, è la vera rivoluzione che possiamo assumere in ambito desert rock. Brant è così: spontaneo e solare. Ce lo immaginiamo sereno lasciare i Fu Manchu e i Kyuss per seguire la sua stella, anche se meno remunerativa in termini di fama. Ma chi lo segue lo sa: da lui ci aspettiamo solo musica meravigliosa. Come già accaduto per il recente Mankind Woman.

Il suo modo di suonare la chitarra è unico. Per qualche verso lo possiamo accostare a John Frusciante, a causa dell’abbandono di tutte le sovrastrutture e condizionamenti, per mostrarsi a nervi scoperti.

Brant Bjork: Jacoozzi e desert rock

Can’t Out Run the Sun ci dice proprio questo e non sono passati vent’anni invano. Brant è ancora là, a rollarsi un joint al Rancho de la Luna (lo potete vedere nel bel film Sabbia, di qualche tempo fa) pronto a suonare a qualsiasi ora del giorno. E questo ci arriva diretto dall’ascolto dell’album attraverso una produzione che ci fa assistere al processo esecutivo e di registrazione, in un colpo solo.

Sembra quasi di sentire i fruscii dai microfoni e le voci a fine sessions. Mexico City Blues è sospesa e sinuosa, Guerrilla Funk è sleazy & dirty come se Brant per un momento diventasse l’erede di Curtis Mayfield. Bjork è l’unico che può permettersi di mettere su un disco una frase di batteria e dagli il titolo di una canzone: Five Hundred Thousand Dollars!

Mixed Nuts sembra uscita da qualche Italian library collection su film con Adolfo Celi e Gastone Moschin, Lost in Race è Santana al 100% (a proposito, quando gli verrà riconosciuta l’importanza dei suoi dischi dei Settanta nella scena heavy psych?), Polarized un delirio in acido costruito sul banco mixer e la finale Do You Love Your World?, unica ad essere cantata, è il risultato della frequentazione dei salotti artistici allestiti dalla moglie Zaina Alwan nella proprietà di Zainaland.

Bentornato Brant. Che la tua stella ti guidi sempre più in alto.

Eugenio Di Giacomantonio