The Worst Horse – The Illusionist
Una potenza hard stoner si sprigiona dalle casse appena mettiamo su The Illusionist, il nuovo lavoro dei The Worst Horse, band milanese edita dalla Karma Conspiracy di Benevento.
David Podestá alla voce è il vero mattatore della scena: come un Gassman prestato alla musica, David è un fantasista che poggia su basi atletiche. Riesce a dare espressione viscerale a tutte le composizioni imbastite da Omar e Francesco che non sono da meno in merito ad originalità e brillantezza.
Il concept di questa opera prima (appena prossima al primo EP omonimo del 2015) è mutuato dall’immaginario fumettistico bonelliano, come rivela la suggestiva copertina di Alessandro Iannizzotto, ma la musica è figlia della meglio gioventù americana. Un bel mix bastardo tra Clutch, Fu Manchu, Fireball Ministry, Wo Fat è il cocktail servito a caldo.
Emerge anche una lettura non compiacente di certi amori adolescenziali metallici (impossibile non pensare che il nostro David non abbia amato una band come i Metallica, o meglio, James Hetfield), ma il risultato è filtrato attraverso la New Wave of American Stoner Rock degli anni Duemila, che immaginiamo sia il vero fulcro su cui si posa la scrittura di Omar.
C’è una buona quantità di riff che tengono insieme tutta l’impalcatura dei pezzi, altre volte il mood si fa più rilassato (XIII, Circles e Blind Halley) ed esce fuori un’idea di canzone espansa, non compressa nell’ortodossia stoner, anche se ovviamente sempre di heavy psych si sta parlando.
Il sapore in bocca che ci rimane alla fine del disco è quello di una band grassa e fumante: come certe portate della tradizione culinaria italiana che piacciono tanto agli stranieri.
Eugenio Di Giacomantonio
David Podestá alla voce è il vero mattatore della scena: come un Gassman prestato alla musica, David è un fantasista che poggia su basi atletiche. Riesce a dare espressione viscerale a tutte le composizioni imbastite da Omar e Francesco che non sono da meno in merito ad originalità e brillantezza.
Il concept di questa opera prima (appena prossima al primo EP omonimo del 2015) è mutuato dall’immaginario fumettistico bonelliano, come rivela la suggestiva copertina di Alessandro Iannizzotto, ma la musica è figlia della meglio gioventù americana. Un bel mix bastardo tra Clutch, Fu Manchu, Fireball Ministry, Wo Fat è il cocktail servito a caldo.
Emerge anche una lettura non compiacente di certi amori adolescenziali metallici (impossibile non pensare che il nostro David non abbia amato una band come i Metallica, o meglio, James Hetfield), ma il risultato è filtrato attraverso la New Wave of American Stoner Rock degli anni Duemila, che immaginiamo sia il vero fulcro su cui si posa la scrittura di Omar.
C’è una buona quantità di riff che tengono insieme tutta l’impalcatura dei pezzi, altre volte il mood si fa più rilassato (XIII, Circles e Blind Halley) ed esce fuori un’idea di canzone espansa, non compressa nell’ortodossia stoner, anche se ovviamente sempre di heavy psych si sta parlando.
Il sapore in bocca che ci rimane alla fine del disco è quello di una band grassa e fumante: come certe portate della tradizione culinaria italiana che piacciono tanto agli stranieri.
Eugenio Di Giacomantonio