Elepharmers – Lords of Galaxia
Il nuovo lavoro dei sardi Elepharmers, terzo capitolo di un’avventura iniziata con “Weird Tales From the Third Planet” e proseguita con “Erebus”, si presenta con una copertina videogames meet Star
Wars, con tanto di lord cieco che tiene in mano le sorti del nostro
povero pianeta. Nonostante queste premesse, il focus del disco è tutto
incentrato attorno ad Isaac Asimov e alla tesi degli ancient astronauts di Zecharia Sitchin. Le sei lunghe composizioni che formano l’album dimostrano che la band ci sa davvero fare.
Prendiamo l’intro di “Ancient Atronauts”: prima che le chitarre entrino a fare il loro dovere viaggiamo in uno space rock distopico che ci nasconde la natura sanguigna che li anima. Natura che emerge molto distintamente in “Ziqqurat” tramite un riff assassino che rimanda alla migliore tradizione heavy stoner.
“The Flood” prende dagli Hawkwind più mistici e rimanda alle desert band lente e sballate di Palm Springs, così come la successiva “Fondation” riesce a mischiare le carte con un mood tra Thurston Moore e Brant Bjork.
Ecco, al quarto pezzo la visione si fa più chiara: mescolare il Seventies guitar sound con forti addizioni di esperienze musicali molto lontane. “The Mule” profuma di Fu Manchu, hardcore e Black Sabbath (insieme, of course) e la finale “Stars Like Dust” ha qualcosa di eminentemente doom anche se di rallentamenti non se ne vede traccia. Sarà che dopo gli Electric Wizard ci siamo abituati al doom cosmico e psichedelico che non si crogiola sempre sullo stesso riff.
Eugenio Di Giacomantonio
Prendiamo l’intro di “Ancient Atronauts”: prima che le chitarre entrino a fare il loro dovere viaggiamo in uno space rock distopico che ci nasconde la natura sanguigna che li anima. Natura che emerge molto distintamente in “Ziqqurat” tramite un riff assassino che rimanda alla migliore tradizione heavy stoner.
“The Flood” prende dagli Hawkwind più mistici e rimanda alle desert band lente e sballate di Palm Springs, così come la successiva “Fondation” riesce a mischiare le carte con un mood tra Thurston Moore e Brant Bjork.
Ecco, al quarto pezzo la visione si fa più chiara: mescolare il Seventies guitar sound con forti addizioni di esperienze musicali molto lontane. “The Mule” profuma di Fu Manchu, hardcore e Black Sabbath (insieme, of course) e la finale “Stars Like Dust” ha qualcosa di eminentemente doom anche se di rallentamenti non se ne vede traccia. Sarà che dopo gli Electric Wizard ci siamo abituati al doom cosmico e psichedelico che non si crogiola sempre sullo stesso riff.
Eugenio Di Giacomantonio