New Review | SABBIA – Kalijombre




Sabbia – Kalijombre


Un mood ombroso e lunatico quello che introduce “Kalijombre”, secondo lavoro dei biellesi Sabbia. La band si è chiusa nello Studio 2 di Padova nel gennaio scorso con la voglia di giocare e sperimentare: il frutto di quelle lunghe jam è ora catturato su disco da Cristopher Bacco e pubblicato dalla Kono Dischi nel giugno dello stesso anno.

Conoscono bene l’acqua in cui si stanno bagnando i nostri cinque cosmonauti: dal rivolo degli Hawkwind (non azzarderemmo tanto se dicessimo che sono tra le maggiori influenze di Giacomo Petrocchi, qui al sassofono) si passa per affluenti come Mother Unit (seconda e più elaborata incarnazione dei 35007) per approdare nella grande foce odierna in compagnia di Squadra Omega, Causa Sui e Papir.

Un viaggio lungo cinquanta anni, a vederlo nell’insieme. Ma non è solo un gioco di discendenze, i nostri ci mettono anche una visione cinematografica della cosa: prendiamo “Manichini” che mischia jazz rock e Goblin tanto da farci visualizzare lame decollanti e inseguimenti a morte. Fa da contro altare la successiva “Il Barone Von Dazza” elegante e composta, come un tè alle cinque.

Vanno nello stesso campo da gioco dei Caibro 35 con “Elefanti (in via Lamarmora)”, anche se gli rimane addosso una componente più sanguigna e meno filologica rispetto alla band milanese: l’allungo space rock del finale, lascia al palo la music library per affondare il colpo nella materia propriamente rock.

“118” sembra un indagine su di un colpevole al di sopra di ogni sospetto alla maniera dei Morphine (trench nero e ulcera allo stomaco) e la conclusiva “A spada tratta” è come indica il nome: epica, cavalleresca e combattiva, ma fino a quando non scatenano synth e sax sembra di sentire le chitarre dei Sonic Youth.

Molte volte, senza dire una parola, si raggiungono espressioni talmente significanti che vale la pena starsi zitti e fare andare la musica sciolta, dove vuole.

Eugenio Di Giacomantonio