ANANDA MIDA – Anodnatius
Gustoso progetto trasversale questo degli Ananda Mida, pensato
e realizzato da Max Ear (OJM) e Matteo Scolaro, con Filippo Leonardi
(Pater Nembrot) alla voce. La band fa riferimento “a certe dimenticate
tradizioni tra il Medio Oriente e il Centro Asia. L’album di esordio
‘Anodnatius’, polo positivo, (…) sarà seguito dal disco ‘Cathodnatius’,
nel quale si tenterà di far riemergere tutte le forze negative e le
relative sottili vibrazioni giacenti fuori e dentro ogni cosa”. Si
intuisce quindi che siamo davanti alla versione chiara della band, un primo tempo di un film che si concluderà con la pubblicazione del prossimo album.
Dal punto di vista estetico, i riferimenti al Medio Oriente sono esclusivamente concettuali dato che ci troviamo davanti ad un esemplare blues rock del terzo millennio con la testa piena di meteore psichedeliche (“Kondur”, “Askokinn”). I pezzi sono scritti bene e contaminati al punto giusto. Si può partire da un ritmo serrato e finire dalle parti della dilatazione space/cosmica (“Lunia”). O traboccare di Seventies sound progressivo, come in “Anulios” e “Heropas”. Non si dimentica neanche la lezione dei Queens of the Stone Age e di tutto quello che hanno modificato con il loro robot rock circolare (“Passavas”, già edita come b-side del singolo “Aktavas”). Ma è sbagliato racchiudere dentro un solo contenitore ogni brano, dato che la scrittura è di per sé espansa. La musica italiana underground è sempre superlativa in quanto a bellezza e visionarietà. Speriamo che se ne accorgano pure oltralpe. Per dare la giusta visibilità a questi ragazzi che meritano appieno i festival europei di musica heavy psych.
Eugenio Di Giacomantonio
Dal punto di vista estetico, i riferimenti al Medio Oriente sono esclusivamente concettuali dato che ci troviamo davanti ad un esemplare blues rock del terzo millennio con la testa piena di meteore psichedeliche (“Kondur”, “Askokinn”). I pezzi sono scritti bene e contaminati al punto giusto. Si può partire da un ritmo serrato e finire dalle parti della dilatazione space/cosmica (“Lunia”). O traboccare di Seventies sound progressivo, come in “Anulios” e “Heropas”. Non si dimentica neanche la lezione dei Queens of the Stone Age e di tutto quello che hanno modificato con il loro robot rock circolare (“Passavas”, già edita come b-side del singolo “Aktavas”). Ma è sbagliato racchiudere dentro un solo contenitore ogni brano, dato che la scrittura è di per sé espansa. La musica italiana underground è sempre superlativa in quanto a bellezza e visionarietà. Speriamo che se ne accorgano pure oltralpe. Per dare la giusta visibilità a questi ragazzi che meritano appieno i festival europei di musica heavy psych.
Eugenio Di Giacomantonio