New Review | PATER NEMBROT "Nusun"


Voto
01. Lostman
02. Stitch
03. Architeuthis
04. Young Rite
05. El Duende
06. Overwhelmed
07. Uknap
08. The Rich Kids of Teheran
09. Dead Polygon

Go Down Records
2016
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PATER NEMBROT - "Nusun"

Dopo il bellissimo "Extended Pyramid" ci si aspettava qualcosa di grosso. Con quell'EP i Pater Nembrot hanno allargato il loro modo di esprimersi, affrancandosi definitivamente da band kyussiana e facendo proprio il concetto di musica espansa. Nel mentre, è entrata in formazione Ramona come seconda chitarra, dando alla band uno spessore granitico nello scolpire quel muro di suono tanto caro ai nostri. Il nuovo album "Nusun" parte proprio come un viaggio o un film: lievi tocchi di piano (suonato dal primo ospite della partita, Petra Wallace) introducono come titoli di testa una trama fatta di viaggi interstellari mescolati agli aromi del deserto.

C'è il desiderio di fare crescere e sviluppare i pezzi senza condizionamenti, bilanciando le dinamiche interne con la ripetizione, non sempre spiccicata, del riff portante. "The Rich Kids of Teheran", "El Duende" e "Architeuthis" oltrepassano gli 8 minuti e risultano essere, oltre ai più compositi, i brani migliori. All'interno, fraseggi di chitarra, spunti armonici e inserti di synth (Chris Peters e Piotre Benton) si alternano organicamente creando una relazione con l'ascoltatore dove si realizza l'alleggerimento dello spazio/tempo. Merito soprattutto del cantante/chitarrista Filippo Leonardi, capace di essere creativo e originale con pochi elementi, fuori dalla logica del funambolismo a tutti i costi. Quando il dono della sintesi prende il sopravvento, si realizzano altri piccoli gioielli come "Young Rite" (bell'espressione a metà strada tra Yawning Man e Dead Meadow) e "Dead Polygon", titoli di coda, questa volta affidati alla chitarra acustica.

Alla fine del viaggio rimangono gli echi di una musica genuina e speciale insieme. La musica tuot court, non solo quella heavy psych e altresì quella italiana, è stata arricchita da un piccolo gioiello che ci auguriamo verrà ricordato tra quaranta anni come oggi noi ricordiamo i lavori degli anni Settanta.



Eugenio Di Giacomantonio