Voto |
01. Doomed Myself 02. Line Me Back Up 03. Transparent Powers 04. Selfish Thoughts 05. All Too Free 06. Wax Gets in Your Eyes 07. Life Could Be a Dream 08. Long Days 09. No Self Respect 10. Back Down to the Tombs 11. The Fact Facer |
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HOLY SONS - "The Fact Facer" Emil Amos è la figura carismatica che affianca Al Cisneros negli OM. Il suo drumming potente ed evocativo è la misura con cui l'ascolto di "God Is God" e "Advaitic Songs" diventa esperienza mistica, spirituale. Qualcosa che trascende la realtà e ci proietta il mondi altri. Non proprio prossimo a questa visione della musica è il progetto Holy Sons, in cui il nostro salta a piè pari le pelli e si posiziona davanti al microfono con la chitarra a tracolla. Il suono che ne esce fuori è molto più leggero: distorsioni dosate con parsimonia e utilizzo non coatto dell'elettronica. Ballate per piano ed acustica che ci fanno affondare nelle amache della memoria – come potrebbero fare compagni di etichetta come Luke Roberts ("All to Free") – e non ci si risparmiano davanti al languore di alcuni sentimenti come in "Line Me Back Up". Il mood in alcuni pezzi degli Holy Sons ci riporta a metà anni 90, ma non dalle parti di Seattle, piuttosto nei club fumosi di Bristol, dove giovani Massive Attack, in combutta con il geniaccio di Tricky, fumavano chili di hashish su bassi rallentati fino allo stordimento dei sensi ("Trasparent Power"). Pare che il mezzo sia lo stesso, anche se il risultato è molto diverso. Andando avanti con l'ascolto ce n'è per ogni genere: southern elegante ("Life Could Be a Dream", "No Self Respect"), blaxploitan avantgarde ("Long Days"), doom/grunge sperimentale ("Doomed Myself"). Eppure qualcosa che piace a Dio si trova: "Selfish Thoughts" è sulla via polverosa di Damasco, dove tra corde pizzicate alla maniera berbera emerge un clima ossianico sporcato da tinte noir à la Morphine. Che sia un semplice divertissement o un progetto in cui il nostro sta puntando espressamente per rilevare la sua visone delle cose, non è dato saperlo. Comunque, alla luce di quanto fatto finora, bisogna riconoscere in Emil una figura non allineata nella storiografia del rock americano. E tanto basta per farci togliere il cappello. Eugenio Di Giacomantonio |