New Review | YAWNING SONS "Ceremony to the Sunset"


Voto
01. Ghostship - Deadwater
02. Tomahawk Watercress
03. Wetlands
04. Whales in Tar
05. Meadows
06. Garden Sessions III
07. Japanese Garden

Alone Records
2014
Website

YAWNING SONS - "Ceremony to the Sunset"

Gary Arce va amato incondizionatamente. Musicista genuino e appassionato, ha costruito la rete del desert sound da quasi trent'anni a questa parte. Se la sua creatura primigenia la conoscono tutti, i favolosi Yawning Man, non bisogna dimenticare la prolifica produzione laterale. A cominciare dai Dark Tooth Encounter in cui fa tutto lui, tranne che suonare la batteria. O i seminali Perfect Rat, che insieme ai Sort of Quartet risalgono al secolo scorso, quando il nostro cominciava a mettere i primi peli di barba. E numerose sono le collaborazioni a cui si dedica, come nel disco omonimo di Hotel Wrecking City Traders o le comparsate nel super gruppo Ten East, dove ritroviamo i suoi degni compari Mario Lalli e Bill Stinton. Per farla breve, Gary è un grande musicista senza arie da rock star a cui il mondo psichedelico americano deve molto. La sua più grande dote è avere uno stile unico, personalissimo. E non è un mistero che le sue produzioni siano tutte strumentali, o quasi. Come se volesse manifestare il fatto che la sua chitarra è talmente protagonista da viaggiare da sola. Anche se sussurrata. Anche se appena pizzicata.

Tutte caratteristiche che ritroviamo in "Ceremony to the Sunset" a nome Yawning Sons, edito nel 2009 e ristampato recentemente dai ragazzi della Alone Records, Spagna. Sin dal nome scelto, questa è la creatura più vicina agli Yawning Man, anche se qui il suono si fa leggermente più sognante, evocativo. L'idea è quella di rappresentare immagini oniriche che si aprono lentamente alla luce del sole, come nel dormiveglia, in cui lo stato di coscienza è labile eppure presente. E, sorpresa, ci sono tre pezzi cantati: l'introduttiva "Ghostship - Deadwater" con Wendy Rae Fowler, "Meadows" con il fedele Mario Lalli e "Garden Session III" con il mitico Scott Reeder. Ma come già detto il concept lo costruisce tutto la chitarra di Gary che tratteggia in punta di piedi le melodie. Il risultato finale è un altro splendido album di rock mutante, articolato nelle corde della musica del deserto ed aggregato organicamente nella visione della musica che il nostro sta costruendo da anni. Un brindisi a te fratello Gary.



Eugenio Di Giacomantonio