TUBE CULT FEST Pescara - Orange & Maze - 18/04/2014 Giunto alla sua sesta edizione, il Tube Cult Fest - la rassegna heavy, psych, stoner doom dell'Adriatico – risulta essere un'esperienza riuscita sotto tutti i punti di vista. L'affetto, il legame, la bellezza di condividere due serate insieme sono gli elementi che pubblico e gruppi hanno fatto emergere. Sotto, un'organizzazione precisa ha lavorato perfettamente stabilendo una serie di relazioni tra band di ogni parte del mondo, agenzie e gestori di locali. Il risultato è stato assistere a dodici performance di artisti dalla sensibilità diversa che ha portato il pubblico ad espandere la propria visione sul concetto di rock nell'anno domini 2014. Si parte con due novità assolute nella giornata di venerdì 18: i Sons of Revolution, che raccolgono gli stralci lasciati da Johnfish Sparkle più addizioni classic rock, e i Naga, nati dalle ceneri dei Kill the Easter Rabbit passati nella cappa fuligginosa del post black doom. Mezz'ora l'uno e le barriere mentali sono rotte. Benvenuti nella terra di nessuno. Il mondo è dietro di noi. Davanti lo spazio infinito evocato dai Manthra Dei, che fanno della cavalcata intergalattica la loro ragione di vita. Se in Italia ha ancora senso trovare figli e figliocci dei favolosi Seventies, a loro va riconosciuta una dinastia di ferro. Che ha padri proto NWOBHM e nonni di nome Hawkwind. Rispetto al passato prossimo il bilanciamento tra gli strumenti risulta meglio dosato e questi giovani guardano al futuro con in braccio un album omonimo per la Nasoni Records. Il mondo è vostro. Di lato sentiamo urla belluine. È David Makò, singer degli ungheresi Haw ed ex voce degli Stereochrist, i primi ospiti stranieri ad essersi esibiti. Vi ricordate Skinner? Lottatore wrestling delle Everglades che arrivava sul ring sputando liquami neri dalla bocca? Beh, il loro concetto di musica è molto vicino a quest'idea di spettacolo. Weedeater e Bongzilla sugli scudi e rimasticazione di American roots nel cuore. Tutto ha senso nella ferocia rappresentata dai nostri. Anche un banjo stonato per voce sola che introduce il finale dello show. Veri redneck europei. Se cercate genuinità e violenza procuratevi i loro dischi. Troverete anche carezze melodiche. Cosa può essere "peggio"? E soprattutto, al "peggio" c'è mai fine? Secondo gli Zolle no. Se gli Haw sono campagnoli, gli Zolle sono la vanga. Quella che ci viene data sui denti appena ci troviamo al cospetto di questi due lord. Lan, provenienza aliena targata Morkobot, ha un debole per la chitarra e si sente. Il batterista si diverte a distruggere tutto e si vede. Quando ti ghigna in faccia la sua deviazione sai che una valanga di chiodi è pronta a trafiggerti le carni. Uno e Due. Desiderio e Vendetta. Come un altro duo, i Mombu, sono la rivelazione del fest. L'attimo in cui tutto deraglia ma incredibilmente rimane in piedi. Eccezzziunale! A riportarci in condizione di poter provare ancora qualche emozione ci sono gli Zippo con formazione a quattro senza doppia chitarra. Il processo è virato verso la sintesi. Diremo magnificamente. La base ritmica risulta più affilata e la voce di Dave sfiora il filo della lama delicatamente. Sergente è concentratissimo. Ha in mano il riff che consegna puntuale a Stonino. Emergono visioni che contaminano Sleep e Jesus Lizard in maniera del tutto naturale. Tutti i pezzi dei tre album subiscono una disidratazione salutare. Le vene melodiche si esaltano e i conflitti tra cuore e cervello tacciono. A pensare ad un percorso evolutivo che consideri in egual modo hard, metal, stoner e doom, la strada non poteva essere migliore. Less is more e la prova ce l'abbiamo davanti. Buonanotte a tutti. Ancora non si spegne il fischio nelle orecchie che siamo a sabato 19 e già ci ritroviamo al Maze per farci massaggiare dagli aquilani The Whirlings. A differenza dei Manthra Dei, strumentali come loro, i nostri sanno cosa vuol dire farsi un bagno nel miele. La dolcezza, le sospensioni, il tocco magico sono termini del loro vocabolario. Qualche concessione di troppo ad un elegante post rock imbolsisce una platea che dal fest vuole viuuulenza, ma chi ha pazienza e pace interiore trova cibo per il proprio palato fine. "Beyond the Eyelids" è il loro ultimo album e lo stanno promuovendo egregiamente. Suonano come in studio e questo è sinonimo di passione e accuratezza. Appresso i Caronte vincono ma non convinco. O forse il contrario. Ciò che nei loro album brilla di riflessi Goatsnake, dal vivo si appanna di Electrci Wizard. Che non è poco, direte voi. Ma i ragazzi sanno colpire meglio e più a fondo con le armi che hanno in mano. Non è un'occasione mancata. Tuttavia, forse a causa della voce provata di Dorian Bones, il drappo nero non ci ammanta. E questo da una band super doom non è poco. Come imparai ad amare i giocattoli per poi distruggerli, ovvero i Mombu. Il duo romano è degno di un film di Fellini tanta è la romanità che trasporta il loro corpo taurino. Solidi come colonne d'ercole. Matti come cavalli pazzi. Partono da un coriandolo, un suono di sax amplificato. Da lì non fanno nessun passo avanti. Come scienziati osservano il fenomeno musica davanti a loro e lo sezionano. Poi l'onda dell'incastro. Si procede a piccoli passi. Un riff viene mandato in ridondanza. Ci si incastra letteralmente. Prima un'unghia, poi un dito, poi una mano. Infine si arriva a stare come dentro ai denti di un pettine. Che succede? Si scardina tutto e si ha quello strano fenomeno della trascendenza. Nel vero senso della parola. Complici i ritmi tribali/africani/primitivi di Antonio Zitarrelli, si ha la sensazione di far parte di un trattato antropologico sulla nascita del suono attraverso il colpire qualcosa volontariamente. I Mombu hanno di fianco mostri come John Coltrane e John Zorn. Ma anche amici di bevute come Black Sabbath e Morphine. E discepoli svogliati come Al Doum and the Faryds. La mitologia è completa. Riprendersi da tanta ciccia al fuoco fa colpevolmente perdere di vista gli australiani Whitehorse, sludge doom da Melbourne che gli astanti dicono aver fatto sanguinare le orecchie. Cosa che non fanno i Glitter Wizard, gli esseri più brutti e improponibili per mettere su una band. Ma che band! Ossessivi, scapigliati e scalmanati, fanno partire il pogo tanto atteso da due giorni. E il tastierista si offende perché la tastiera va giù. Ti capisco, uomo. Ma il rock è anche coinvolgimento e accerchiamento. E i ragazzi italiani sono caldi, si sa. Tanto caldi che non si risparmiano sui pezzi di questo gruppo che mischia evanescenze Witchcraft (e quindi Pentagram) con un'idea di rock glitterato. Non gluma, proprio glitterato. Come le unghie dei New York Dolls e le labbra di Marc Bolan. Un mix di epico, melodico e duro. Hanno un immaginario di piramidi e unicorni e copertine in cui sono vestiti da uomini delle caverne, ma funzionano alla grande. Gli americani hanno questo appeal che fa innamorare gli europei incondizionatamente. Noi per primi. La lunga carovana volge all'arrivo. I Samsara Blues Experiment hanno il compito di chiudere due giorni in cui la realtà ci è apparsa in technicolor e lo fanno con le sempreverdi strutture blues. Certo, iperamplificato. Certo, aggiornato. Ma altrettanto certo che si tratta di puro e semplice blues bianco, come quello che rivoltò la testa dei giovani Eric Clapton, Keith Richards e Rory Gallagher nei mid Sixties. E proprio in questi anni sembrano traghettarci i nostri, tanta è la riuscita commistione di psichedelia e hard rock. La battuta lenta è più una scelta di buon gusto che un fine vero e proprio e questo permette di rallentare il battito cardiaco e farci ammantare da una vena acid rock che soprattutto lo stile di Chris sembra affermare. I pezzi si svolgono in un continnum senza interruzioni simile ad una struttura mantrica di meditazione trascendentale. Il loro ultimo album "Waiting for the Flood" per molti versi è un concept sulla vita e sulla sua finalità e la stessa percezione abbiamo al cospetto della band che sta suonando stasera. Sono dei ricercatori nella terra dell'Eldorado, a caccia dello scopo stesso di questa missione. E noi con loro. Fuori facce contente e sorrisi luminosi. Le band sono pronte per ripartire ma non risparmiano commenti gioiosi e abbracci fraterni. D'altra parte la musica heavy psych è anche questo: ritrovarsi su un terreno comune e condividerlo. Al prossimo anno. Con la pinta piena e i sensi aperti. Tube Cult Fest. Peace. Eugenio Di Giacomantonio |