New Report | WHITE HILLS + BLACKLAND + MONSTER DEAD Roma - Init Club - 18/10/2012




WHITE HILLS + BLACKLAND + MONSTER DEAD
Roma - Init Club - 18/10/2012


Fantastiche pulsazioni heavy rock e viaggi kraut space. Stesera il bill proposto dall'Init è di quelli che vanno ricordati. Un po' come vedere nel 1971 Black Sabbath e Hawkwind sullo stesso palco e, con le dovute proporzioni e sostanze psicotrope, possiamo immaginarci turbofreak con zampa di elefante e baffo a manubrio appena usciti dall'incanto flower power, all'alba del decennio più controverso del secolo scorso. Ma procediamo con ordine.
Aprono i Monster Dead che degli anni Settanta non vogliono sentir parlare. Un basso distorto ed un cantante dietro le pelli possono generare il finimondo. Stralci New Wave ed entrate a gamba tesa riot punk: il piatto giusto per creare uno stato anfetaminico low-fi noise. Nel combo milita il buon Raniero, dei compianti Cactus. Andate a cercare il loro unico album omonimo edito dalla Hate Records e capirete che gli italiani lo sanno fare meglio. Ma questo è il passato. Ora ci sono i Monster Dead e bisogna godere della loro musica e brindare davanti al banchetto della distro Alpacha pieno di cosette stuzzicanti. Cugini diretti di quei mattacchioni della Bubca Records.

I Black Land seguono a ruota e subito capisci perché hanno deciso di omaggiare il quartetto di Birmingham: puro hard venato di psichedelia come la potevano intendere i nostri nel periodo "Paranoid". L'entrata di Sergio dei Sesta Marconi fa quadrare il cerchio e la mutazione da proto doom a heavy psych è finalmente completa. Non che questo non fosse evidente nel recente passato, ma ora la cosa risulta più evidente sin dall'intro distorto e dilatato, dal sapore prettamente liquido, più che dark. Tutto il live act segue questo sentire. Vengono elaborati riff di magistrale fattura Iommiana su cui si innestano drumming precisi e potenti; a ridosso, propulsioni di basso, confermano il carattere quasi blues delle composizioni. Bravi e completi. Per palati fini che circolano nell'orbita capitolina, e non solo, di Doomraiser, L'Ira del Baccano, Tyresia Raptus e Trigemino.

Da Brooklyn, i White Hills. Ego Sensation è sempre splendida. Dave sempre più fumantino. Sono in giro a promuovere il nuovo "Frying on This Rock", album sintesi del loro pensiero e della loro bravura. Hanno trovato il modo di non disperdere troppo le energie e concentrare il loro vocabolario sugli elementi chiave della psichedelia moderna: motorik, fuzz, space e un tocco vitaminico alla MC5. La prima mezz'ora del live è una botta dalla dimensioni immani. Eseguono, in fila, quasi tutti gli opener dei loro dischi in studio e si rimane abbagliati di come si possano citare gli Hawkwind in maniera direttamente heavy. Ma forse, per le orecchie dell'epoca, gli Hawkwind erano squisitamente heavy... Di fatto non si è mai sentito una congiunzione così magistrale fra chitarra iper satura e basso lemmyano, in barba ai problemi tecnici che di tanto in tanto rovinano l'ipnosi a cui siamo sottoposti. Ipnosi che raggiunge il climax perfetto poco prima della fine, quando i ritmi diventano meno ossessivi, la mano si fa morbida e le orecchie vengono accarezzate da eteree visioni di altrimondi. Splendido. Tutto tramortito dal tankard finale e dall'unico bis dove, seppur saturi, il trio ha ancora la forza di schiaffeggiare.

Serata che va ricordata, dicevamo. Peccato la scarsa affluenza di partecipanti che farà in modo che veramente in pochi avranno un ricordo da custodire. Del resto la qualità non è sempre sinonimo di grande successo. Ma questo lo sapevamo da tempo, purtroppo.



Eugenio Di Giacomantonio