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BLACK ANGELS
Roma, Circolo degli Artisti - 13/09/2011


Ai Black Angels piace la contaminazione, sporcarsi le mani, mischiare le carte in tavola, far perdere i riferimenti allo spettatore. È chiaro sopratutto nei bis dove, oltre a vedere una band stravolta nella line up, con un tastierista passato dietro le pelli, veniamo intontiti da uno straniante esercizio surf e da una cover di "Lucifer Sam" al ralenti. Segno che la voglia di giocare e lasciarsi ispirare dal momento prevale su tutto il resto. Ma cominciamo dal principio. Il Circolo degli Artisti è sold out. Il pubblico è eterogeneo con indosso magliette che spaziano dagli Arcade Fire ai Pink Floyd, segno che il quintetto di Austin è veramente la linea che taglia diagonalmente tutti i generi dai sessanta ai duemila. Del gruppo di apertura sappiamo solo che il bassista, ubriaco e molesto, ha permesso un'esibizione di 20 minuti chiusa dalla rottura del basso on stage: old school rock n' roll! Si chiamano Night Beats e sono legati ai Black Angels tramite progetti collaterali e collaborazioni: il loro primo ed omonimo disco è uscito in primavera dopo un ep dell'anno prima. Peccato averli persi, ma un'esibizione così veloce non sarebbe bastata a far percepire il valore dell'intero progetto.
Con una scenografia puro stile sixties, che sembra presa a forza da un vecchio film della Nuovelle Vague, veniamo introdotti nel mondo dei Black Angels, fatto di alti e bassi, di accenni smaccatamente pop e di trascinanti riff sciamanici, di canzoni troncate nel pieno dello sviluppo e di hit perfette. "Sunday Aftermoon" ha il sapore del beat da Top of the Pop classe 1967, con quell'incedere di canzoncina easy che si imprime nel cervello al primo ascolto. Ma il fuoco cova sempre sotto la cenere e lo ribadisce "Young Men Dead" estratto del primo disco, dai toni lenti e ossessivi che ribadisce come i 13th Floor Elevators siano una vera ossessione dei nostri.
Tutto il live sarà un alternarsi di stati d'animo contrastanti: psychedelia vintage come controparte all'easy tempo, profondità emotiva e subito dopo leggerezza della composizione, pezzi chiusi nella loro forma perfetta e voglia di lasciarsi andare a jam che non troveranno mai una completezza di senso. Però ci danno dentro come matti: si passano gli strumenti, si scambiano i ruoli, giungono ad una formazione di persino 4 chitarre! E i risultati ci sono. Vengono accontentati sia i gli amanti del suono filo Cramps, dritti verso il roots rock anni cinquanta ("Better Off Alone") sia i cultori dei suoni acidi sotto influsso peyote ("Black Grease" e la bellissima "Science Killer"). Alex Maas è la quintessenza del suo gruppo: canta ipnoticamente e si lascia trasportare dal sound che viene mano a mano raffinandosi e decora il tutto sia con basso che con tastiere e maracas. Degna complice delle sue visioni è la batterista Stephanie che esalta o smussa gli accenti delle composizioni in maniera esemplare risultando la vera responsabile del climax della sala. Dopo un'ora tutto finisce e il bis è in mano ad un trio scanzonato che riemerge solo per il grande affetto dimostrato dal pubblico.
Insieme a Warlocks, Brian Jonestown Massacre, Black Mountain e Sleepy Sun i Black Angels hanno dimostrato che il verbo psychedelico può essere portato in giro per il mondo senza risultare dei nostalgici freakettoni fuori tempo massimo: Phosphere Dream for Acid Brain!


Eugenio Di Giacomantonio