Mahatma - "Gilgamesh" on Perkele.it

 
 

L'epopea di Gilgamesh, mitologico re dei Sumeri, ben si presta alla trattazione di genere. Ne aveva fatto un naufrago spaziale precipitato sulla Terra Wilson Tucker in "Signori del tempo". In maniera simile i Mahatma prendono le caratteristiche proprie dell'epica mesopotamica (i tempi oscuri e senza alcuna speranza) e le adattano ad un concept album in totale atmosfera doom. Dolore e sangue scorrono nelle sei tracce di un disco (il secondo per la band capitanata dal "turbomatto" Ex) che si apprezza dopo ripetuti ascolti. Perché i primi ti lasciano basito, diviso tra innocenza e stupore. Ripetizione dopo ripetizione i suoni scarni e "garage" (in tal senso irrobustirli ulteriormente potrebbe essere l'ideale passo in avanti) rapiscono e fanno immergere in un universo psichedelico nero e distorto.
Un turbinio di sensazioni forti che parte dalla paralizzante asfissia di "Blood on Uruk" e prosegue con il riff infinito, meraviglioso della title track. La lezione degli Sleep assorbita e risputata con somma eleganza. "Enkidu's End" è un commovente torrente acid rock, un brano dilatato fino all'inverosimile e caratterizzato da nuance visionarie. "Secret of Immortality" è riff circolare, mistero e terrore, dai padri Black Sabbath ai figli Electric Wizard: rappresentazione perfetta di Utnapishtim, re di Shuruppak "che ha visto la vita" ed è sopravvissuto al diluvio universale. "Find the Sacred Herb" – forse il miglior brano dell'intero disco – fa tornare alla memoria i signori dello psych rock strumentale 35007 e gioca di rimandi con i tempi di Hawkwind e Pink Floyd. È terreno fertile per il gran finale di "The Final Decline", un rituale cinereo ed aspro, tanto lontano nel tempo quanto vicino alla realtà odierna.
È proprio questa la forza dei Mahatma, colpire nel punto più inaccessibile il cuore della decadente contemporaneità. Non resta che una soluzione contro la crisi, ascoltare questo disco. E attendere con impazienza il ritorno di Gilgamesh.

Alessandro Zoppo